giovedì 23 aprile 2015

Il vittimismo delle volte può essere cronico e una patologia da curare!! Se qualcuno dei vostri cari ne è affetto, sappiatelo riconoscere tramite questo articolo!


False-Accusation-by-Anonymous-Accuser-2Il paradosso è che il vittimista impiega la sua posizione di vittima per difendersi da dolori e disturbi psichici verso i quali non riesce a porre rimedio. A tal fine può dunque non solo esaltare la sua posizione di vittima, ma anche fare in modo da poterla perpetuare, rinnovare, al punto di provocare situazioni dalle quali può in vari modi essere ‘vittimizzato’.
La vittima non vittimista, prova gratitudine verso chi la aiuta, perché il suo stato emotivo e mentale di dolore è ancorato ai fatti reali che glielo hanno prodotto e non ad intenzioni, seppure inconsce, di “sfruttare” l’altro per difendersi da antiche ferite irrisolte che si porta dietro dall’infanzia.
Il vittimista non riesce a provare gratitudine in quanto considera la relazione affettiva che la gratitudine svilupperebbe come un ambito potenzialmente inaffidabile. Ciò a causa di una mancata elaborazione della relazione primaria con la madre nella prima infanzia, vissuta come inaffidabile per fatti e comportamenti oggettivi e/o fantasmatici.
Provare gratitudine, fidarsi, aprirsi all’altro e quindi lasciarsi aiutare, amare e ad essere amati, nasconde lo spettro dell’abbandono e del tradimento, perciò piuttosto che provare gratitudine e amore per gli altri che vorrebbe aiutarlo, finisce con il trasformare gli altri ingrati, in persone incapaci di comprendere le sue esigenze, il suo amore, la sua bontà, e, naturalmente, i suoi dolori.


dolore-cronico-quadrato.300x300Una manovra relazionale tipica del vittimista, è quella di accusare gli altri, non tanto per il fatto che gli hanno procurato un torto, ma perché sono incapaci di capirlo e di aiutarlo. In tal modo tutte le persone con le quali il vittimista entra in relazione possono essere accusate di omertà, complottismo, menefreghismo, mancanza di empatia, disumanità, ecc. In particolare medici , terapeuti e servizi assistenziali potranno essere considerati non soltanto ‘colposi e incompetenti, ma anche dolosi, quasi che facessero finta di voler curare, laddove invece traggono benefici per se stessi infischiandosene del maklatoe, anzi arriavando anche a provocare il suo malessere per motivi di lucro. Evidentemente ciò assume tratti paranoidi. Il vittimista si sente infelice e si trova effettivamente in difficoltà, ma anche in mancanza di un ‘colpevole oggettivo’, attribuisce la colpa agli altri, e alla vita e al mondo in generale, sviluppando una sfiducia misantropica generalizzata. Ciò gli fornisce sempre un alibi per non assumersi le proprie responsabilità e rimanere nell’immobilismo di una situazione negativa che internamente sente come immodificabile. Come vedremo alla base del ‘vittimismo patologico’ vi sono specifiche dinamiche inconsce rimaste incagliate in meccanismi difensivi infantili, che generano processi cognitivi ed emotivi disturbati e disturbanti.
Sia la vittima e sia il vittimista, possono subire in quanto agenti passivi, una disgrazia, un tradimento, una manipolazione affettiva o di altro tipo, ad es., economica, tuttavia la vittima non vittimista non ha alcune intenzione di adoperare ciò che ha subito per relazionarsi in modo manipolatorio verso altri che non c’entrano nulla, o dai quali potrebbe addirittura ricevere aiuto e solidarietà. Spesso la vittima vuole anche evitare di far sapere quanto gli è occorso, e quindi di apparire vittima, se non al fine di poter ottenere un qualche effettivo risarcimento del danno subito. Al vittimista invece, paradossalmente, e da un punto di vista emotivo, non interessa tanto la riparazione del danno subito, quanto la possibilità di impiegare il danno subito per esprimere una sua problematica inconscia disturbante, che altrimenti non riuscirebbe ad esprimere, cosa che lo porterebbe sul baratro della depressione e finanche della dissociazione (psicosi).


vittimismoQuanto più questa difesa patologica viene perpetuata tanto più essa si trasforma in una prigione dalla quale non si riesce a uscire, anche perché la chiave è nascosta nel luogo più impensabile e misterioso che esista: dentro il proprio profondo, in zone d’ombra e rimossi dell’inconscio risalenti alla prima infanzia. D’altra parte uscire da questa prigione appare come pericoloso, il male è tutto fuori, e per difendersi bisogna rafforzare la prigione e occultare la chiave in un luogo sempre più profondo e irraggiungibile dentro se stessi.
Quando non vi sono colpevoli o potenziali carnefici finalizzabili a rafforzare la posizione di vittima, l’aguzzino diventa il destino ed il fato che viene considerato sempre avverso, come se si fosse vittima di una qualche predestinazione demoniaca che condanna alla sfortuna costante. Ed è questo un altro motivo per non fare niente e continuare a lamentarsi. Un altro aspetto tipico dello psichismo delle persone vittimiste, le porta a rimandare, a procrastinare o a non considerare tutte le azioni potenzialmente migliorative della loro condizione, ad un ideale “momento migliore”, che potrebbe anche però, a livello di realtà, non arrivare mai.


Il ‘vittimismo patologico’ può essere considerarsi come una ‘caratteriopatia narcisistica’, cioè come una struttura di carattere consolidatasi nel tempo, ma può anche avere una natura transitoria, e quindi reattiva verso un periodo di difficoltà che si sta attraversando.
manipulationIn ogni caso non si sta parlando di ‘vittimismo pretestuoso’, volto a giustificare la propria negatività nell’intento di far passare la vera vittima come il carnefice. Molto spesso, nella vita individuale, come nella società, e nella storia, si registrano situazione dove il carnefice si traveste da vittima allo scopo di criminalizzare gli avversari; così ad esempio le dittature si ergono spesso a protezione di ‘false vittime’, e si attribuisce la marca di terrorista o di criminale a coloro che lottano per la difesa della giustizia e della libertà. Non è questa la natura del ‘vittimismo patologico’ di cui stiamo parlando, in quanto chi ne è affetto, in modo cronico o transitorio, si sente veramente vittima, perciò considera non pretestuosa la sua condizione, e in tal senso può giungere a giustificare la sua difesa aggressiva verso i potenziali colpevoli. Tuttavia tende poi a comportarsi con dispotismo dittatoriale e criminalizzante, in quanto in nome della vittima con la quale si identifica, ritiene di essere autorizzato ad avere comportamenti negativi, fastidiosi, irritanti e manipolatori verso gli altri.
Il concetto di vittimismo patologico, definisce una situazione in cui il soggetto, è parte attiva nel creare una condizione di disagio e malessere psicofisico più o meno grave a sé stesso ed è solito poi lamentarsene con gli altri, con lo scopo di svalutarli facendoli sentire impotenti ed incapaci. In tal modo li punisce, e quindi, credendosi vittime si erge assai a carnefice psicologico, spesso, purtroppo di persone innocenti, che non c’entrano nulla, o che addirittura volvano essere di sostegno e di aiuto.


Il vittimismo deve essere considerato come una forma di auto distruttività e di auto sabotaggio, ma anche di aggressività ricattatoria e colpevolizzante verso gli altri.
art-of-photo-manipulation-7Tutto ciò mette a grave rischio la possibilità di maturare la propria personale evoluzione di essere umano e di instaurare delle costruttive ed armoniose relazioni con gli altri, nella famiglia, nell’amicizia, nel campo sociale, del lavoro e nella vita amorosa.
Riassumendo, alcuni punti, notiamo che alcune caratteristiche comuni di base del vittimismo, sono le seguenti: 1) negazione della responsabilità personale; 2) accuse, diffidenza, svalutazione e invidia verso gli altri; 3) focalizzazione in modo rigido sul proprio stare male 4) Dinamiche evasive di manipolazione e sabotaggio della relazione di sostegno e cura.
Dobbiamo sempre aver presente, a livello di consapevolezza umana e terapeutica, che il vittimista, è stato comunque realmente una vittima di processi inconsci infantili, dei quali la madre o le figure di attaccamento primario possono essere più o meno inconsciamente responsabili. Il vittimista non è una persona che finge di soffrire, ma è una persona che soffre moltissimo e che per evitare che questa sofferenza lo conduca alla depressione o alla follia, adotta la disturbata e disturbante strategia psicopatologica del vittimismo.


Photo-Manipulation-Ideas-02E’ quindi essenziale per il vittimista patologico considerare il consolatore a sua volta come una vittima, ovvero come una persona che soffre, che sta male. Paradossalmente per il vittimista patologico è rassicurante sapere che il proprio consolatore è infelice e soffre, di ciò non prova alcuna soddisfazione sadica ma, almeno si sente più capito. Addirittura spesso il consolatore si rende conto che per tranquillizzare la vittima deve a sua volta esibirsi come vittima, con la spiacevole constatazione che la persona che si vorrebbe consolare trae un certo beneficio solo a patto che lo percepisce in una condizione di malessere e quindi impossibilitato nel consolare, capacità che lo renderebbe invidiabile e quindi inaffidabile come consolatore. Del resto se il consolatore è indebolito e soffre, non può veramente consolare, quindi il vittimista patologico può continuare a rimanere tale, non corre cioè il rischio di perdere la sua immagine di vittima che gli serve per non vedere i suoi problemi interiori, considerati come inaffrontabili e quindi potenzialmente devastanti. Durante queste dinamiche relazionali disturbate, succede spesso che il consolatore perda la pazienza e per difendersi dalla sfiducia e dalla valorizzazione del vittimista patologico manifesti il suo disagio. Basta una benché minima espressione di disagio del consolatore, che esso viene immediatamente svalutato. Accade che, quando tali dinamiche sono perpetuate e ravvicinate nel tempo – nelle relazioni di parentela, o di amicizia più o meno vischiosa, o anche in ambito terapeutico – il ‘consolatore’ si arrabbi e reagisca alle lamentele e alle provocazioni del vittimista patologico in modo più o meno aggressivo. La confidenza relazionale offre la possibilità di esprimere la rabbia repressa, per cui il consolatore può diventare rabbioso… ed è assurdamente proprio ciò che vuole il vittimista patologico, vuole cioè fargli saltare i nervi. Ecco allora che il ‘gioco è fatto’: il vittimismo patologico è riuscito a trasformare il suo consolatore in un suo aguzzino. A questo punto però si corre il rischio che la relazione finisca in una proiezione di odio e di rancore reciproco. Il conflitto va dunque riparato.


“Il capo della Sinagoga allora, non volendo attaccare direttamente Gesù, ma sdegnato dalla guarigione che egli aveva compiuto nel giorno di sabato, tradizionalmente dedicato al riposo per il popolo ebraico, cercò di sollevargli contro la gente, affermando: “Ci sono sei giorni in cui si i deve lavorare; in quelli, dunque, dovete venire a farvi curare e non nel giorno di sabato “. Il Signore, replicò.”Ipocriti, non sciogliete forse, di sabato, ciascun il vostro bue o l’asino dalla mangiatoia per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo (cioè, di Dio), che satana ha tenuta legata diciotto anni, non doveva liberarsi da questo legame in giorno di sabato?”. Mentre diceva queste cose i suoi avversar si vergognavano mentre le folle, esultavano per tutte le meraviglie da lui compiute. (Vangelo di Luca, 13, 10-17)
(Per il momento, per quanto importante per comprendere il concetto di guarigione fatta di sabato per scindere quel legame dal male e quello di ipocrisia, tralascio l’ analisi di questa seconda parte dell’episodio descritto da Luca.)
imagesLa descrizione fatta da Luca di tutto questo episodio, è molto vivida e di grande portata simbolica. Infatti la donna, priva di diritti da una parte e che a causa della sua afflizione ossea dall’altra, era costretta a tenere la faccia sempre rivolta a terra, è simbolo non solo degli ultimi, dei poveri e degli afflitti che camminano a testa bassa sulla terra, che non osando più guardare il cielo perché piegati dal rimorso dei loro peccati o perché chiusi nei loro egoismi e ricordiamo che il vittimismo è anche una forma celata di egoismo verso gli altri e verso la gratuità della vita che ci è stata donata; quella donna, è anche simbolo, a livello religioso, di un legame satanico ( E a livello psicologico, di un “male” che ci affligge). Infatti, in questo singolo ma ben concatenato episodio narrato solo da Luca e con molta efficacia, la donna curva in sé, rappresenta una donna piegata e schiacciata dai pesi della vita e dalla sua condizione di schiavitù fisica e morale, ma anche, rappresenta un legame satanico, dal quale Gesù la libera. Un legame quindi, con il male, ovvero con l’assunzione in sé di atteggiamenti negativi ed autodistruttivi, che la facevano sentire da tanto tempo completamente piegata o “incurvata”, dalla e verso la vita ( Luca infatti, che era un evangelista medico, afferma, in proposito e sembrerebbe volontariamente, per rafforzare l’enfasi del miracolo della guarigione e del cambiamento della sua postura , dapprima: “Non poteva alzarsi in nessun modo da 18 anni” e, dopo l’intervento di Gesù: “Subito si alzò” ).
Un male che come abbiamo detto, in lei si manifestava con i sintomi di una malattia ossea, impedendole di assumere la posizione eretta e di alzare lo sguardo verso l’alto. E la posizione ortostatica, cioè eretta era considerata allora una posizione che distingueva l’essere umano dagli animali, così come il cielo, oltre al suo valore spirituale, era simbolo della ragione e del discernimento. Il cielo, rappresenta infatti la “luce” della mente, contrapposta all’ombra ed all’oscurità, al rapporto primitivo ed esclusivo con la terra. Era come se quella donna, fosse costretta a controllare ed a misurare ogni suo passo.


imagesCAZ74G69Possiamo anche dire che Gesù le restituisce allora, la sua dignità sia di donna che di individuo tra gli altri individui ri -mettendola in grado di parlare con loro alla pari , potendo nuovamente guardarli negli occhi, sia di figlia di Dio -quando la chiama, rispondendo al capo della Sinagoga, “Figlia di Abramo”e come tale, libera e quindi capace nuovamente di discernimento. Quella donna, nel passo del Vangelo di Luca, rappresenta però anche l’umanità intera, schiacciata ed incurvata dal legame con satana che impone di guardare a terra e non gli consente di alzare lo sguardo verso il cielo e verso Dio e, simbolicamente, di utilizzare le proprie funzioni superiori di discernimento e di compassione per chi soffre, compresi se stessi. Possiamo notare che nel verso descritto da Luca, la donna pur afflitta da tanti anni, non chiede niente, cioè non chiede di migliorare la sua situazione ed è invece Gesù che la vede e la chiama a sé per liberarla dal suo “legame” con il male. La donna cioè, aveva accettato di vivere passivamente in una condizione vittimistica, in cui non credeva che la sua situazione, potesse essere migliorata o ci fosse qualcuno realmente interessato a lei ed al suo destino, fino a che non incontra lo sguardo compassionevole di Gesù. Cioè, fino a che, per la prima volta, essa, non incontra il bene e scopre che esso può liberarla da ciò che la affligge, ovvero dal suo “legame” (in psicologia, lo definiremo forse, “attaccamento” ) con il male.
Questo passo del Vangelo, che ci parla attraverso l’episodio di questa donna “incurvata”, di un’umanità incurvata dal suo legame con satana, cioè, schiava e schiacciata dal peso del male ed incapace di discernere. In altri termini si tratta del peso del rimosso o del rimorso, aspetti archetipici presenti in ognuno di noi, quelli propri dell’Ombra, nei quali covano le nostre rabbie ed i nostri desideri di rivalsa, così come le parti più distruttive da cui ognuno di noi, può essere come posseduto in certe occasioni, fino a condizionare negativamente la coscienza e quindi a renderci agenti del male verso gli altri e verso se stessi.


Rosa biancaNel vittimismo patologico si giunge a fare del male a se stessi per fare del male agli altri, e per ricevere del male dagli altri. Quando Il Padre Nostro conclude dicendo ‘liberaci dal male’, dal punto di vista psicoterapeutico dobbiamo intendere ‘liberaci dal rimosso che ci tiene condizionati ai complessi e alle frustrazioni dell’infanzia, e dacci una luce spirituale affinché la nostra coscienza si evolva verso la consapevolezza del bene e del male e ci conduca risolutamente a scegliere il bene’. Quanto più ci liberaiamo psicologicamente dal male tanto più possiamo aiutare noi stessi e gli altri, e quindi anche i vittimisti patologici; possiamo cioè meglio comprenderli illuminando il loro buio interiore con la luce spirituale che siamo riusciti ad accendere dentro di noi. Con la nostra umiltà, facendo del nostro meglio dobbiamo imparare da Gesù guaritore che ha compreso il senso spirituale del male che affliggeva la donna della narrazione evangelica, e che qui abbiamo considerato nel senso del vittimismo patologico. E’ un vittimismo che in forma più o meno evidente cova dentro ciascuno di noi, e non solo nei vittimisti patologici conclamati – esso si manifesta quando ci ‘incurviamo al male’, lo accettiamo sopportandolo come una croce che non serve ad espiare e a cercare la luce, ma ad sprofondare per rabbia e per vana protesta nell’oscurità e a in questa pena rivendicativa e inutile anche gli altri. Nessuno dovrebbe, in misura minore o maggiore, più o meno conscia, impiegare il male, sebbene contro se stesso, a scopo rivendicativo, manipolatorio e colpovelizzante degli altri e del mondo in generale. Per scrollarsi di dosso questo male vittimistico e vigliacco, per non incurvarsi vittimisticamente al di sotto di esso, la vera grande comprensione di cui tutti abbiamo bisogno, è una comprensione di amore spirituale che ci dà la forza e la gioia di sollevarci con il desiderio di guardare il cielo… come il sole che si rialza ogni giorno all’alba per far rinasce la luce nel buioi… come la rosa che sboccia tra le spine per dirci che dalla sofferenza può nascere la gioia… ma allora con coraggio e fiducia dobbiamo uscire da ogni vittimismo e aiutare gli altri ad uscirne, perché la vita vuole essere vissuta ‘libera dal male’, ed in particolare quel male che a volte, in determinate circostanze o per un disturbo del carattere, infliggiamo a noi stessi, ma di conseguenza anche agli altri e al sommo bene della vita stessa.

INTRODUZIONE
Le persone che si comportano in modo vittimistico vivono in una persistente e involontaria sfiducia verso gli altri e verso le possibilità positive della vita, attraverso l’irrigidirsi di meccanismi difensivi disfunzionali. Queste persone possono essere aiutate a migliorare la propria condizione generale di vita e la propria autostima quando si comprendo le ragioni psicologiche profonde del loro disagio interiore che le induce ad accusare gli altri e a non vedere mai le proprie responsabilità. Il recupero dell’autostima è fondamentale per uscire dal vittimismo patologico, ma a tal fine bisognerebbe essere capaci di un minimo di autocritica, cosa che purtroppo non c’è, o al massimo è simulata. Per diverse ragioni il comportamento vittimistico può essere considerato come una particolare forma di ‘narcisismo patologico’ che amplifica l’immagine dell’ego attraverso l’acquisizione di un potere sugli altri basato sulla colpevolizzazione, il ricatto affettivo, l’esaltazione del proprio Io attraverso la sofferenza effettiva, ma anche ingigatita, iperesibita e talvolta simulata.
Mirò... una gabbia intorno a un cuore vittimista
Mirò… una gabbia intorno a un cuore vittimista
Per aiutare il vittimista patologico occorre un complesso processo psicoterapeutico, di ascolto e di alleanza totale. La minima osservazione delle sue responsabilità può invalidare la relazione terapeutica. Il rischio è dunque quello di fortificare la posizione vittimista che trova nella psicoterapia la possibilità di ‘crogiolarsi’, fino a convincersi che è la poisizione ‘giusta’ da ricercare anche con gli altri. E’ comunque importante che chi si pone come vittimista patologico cronico possa confidare a qualcuno la sua vita e i suoi sentimenti e disagi più profondi. Allora può riuscire ad entrare in contatto con parti emotivamente importanti e parzialmente scisse di sé, in tal modo possono riconoscere quali sono state le fasi e le relazioni veramente dolorose della sua vita, e quindi distinguerle rispetto a ciò che ci è stato di positivo. In effetti quando si riconoscerà che la vita ha detto NO, ma ha detto anche SI’, allora si incomincerà ad uscire dal vittimismo assoluto, ci si comincerà a porre il problema di come ottenere i SI’ e quindi come fare a migliorarsi… si scoprirà che la prima cosa da fare è imparare ad esercitare una corretta e giusta capacità di autocritica e che per molti aspetti si è stati inconsapevolmente vittima di se stessi.
viulenzaVittime o vittimisti?
Tutti noi possiamo subire dei torti, piccoli o grandi, o vere e proprie ingiustizie il che provoca certamente dispiacere, ma non necessariamente il sentirsi ‘sempre vittima di tutto e di tutti’. Il vittimista è convinto di subire torti sempre e da chiunque: nell’ambito famigliare e lavorativo, nella coppia, nell’amicizia.
Generalmente, seppure con grande spirito di sopportazione, possiamo affrontare certe offese con l’aiuto della razionalità, ed anche rivolgendoci ad altri per avere sostegno. Possiamo sopportare soprusi e vessazioni da coloro verso i quali pensavamo di poterci fidare anche volgendo altrove la nostra attenzione creativa e ricettiva, costruendo per noi stessi nuovi impegni, situazioni e relazioni volte a fare del nostro meglio. Inoltre possiamo cercare una riconciliazione con chi ci ha offeso e ferito. Talvolta possiamo anche riconoscere che un torto subito deriva da incomprensioni reciproche; con ciò individuiamo una nostra quota di responsabilità. In ogni caso, seppure entriamo in crisi e ci addoloriamo, è naturale il desiderio e l’impegno per uscire dalla situazione critica, dalla quale ci si vuole liberare.

La persona vittimista invece, di fronte alle difficoltà e alle ingiustizie della vita, quelle piccole come quelle grandi, tende a reagire senza volersi veramente liberare della sofferenza, al fine di trarre da essa una forma patologica di difesa psicologica. Essenzialmente si tratta di una difesa non tanto verso gli altri, quanto verso fattori psichici suoi interni: inconsci disturbanti e risalenti alla prima infanzia. Quindi, in un certo senso, la persona vittimista, piuttosto che voler superare la sofferenza tende a crogiolarsi in essa, a trarne un qualche assurdo vantaggio difensivo/aggressivo.
luna stortaCiò avviene soprattutto se considera di poter impiegare le proprie pene, ad es. un proprio disturbo fisico, un proprio malessere o disagio esistenziale, come modo per verificare il suo potere nell’ambito di ogni relazione, specialmente quelle affettive. Il vittimista sembra richiedere l’attenzione totale degli altri, fino al punto che agli altri, ai quali viene mostrata la sofferenza, non viene riconosciuta alcuna esigenza e libertà personale, neppure relativa a problemi e sofferenze, che vengono comunque considerate secondarie. In genere il vittimista tende a confortare le sofferenze altrui superficializzandole, con una sorta di fatalistico ottimismo, che se fosse impiegato nei suoi confronti gli provocherebbe vere e proprie crisi di odio e di rabbia. Basta un niente affinché gli altri possano essere accusati di disinteresse, incomprensione e tradimento della relazione affettiva. In tal senso il vittimista patologico si sente assai ferito dagli altri – anche solo perché non lo comprendono - e crede di essere sempre e comunque la vittima innocente di potenziali carnefici. Da tale conflitto reagisce in modo da trarre un potere psicopatologico, basato sull’esaltazione dell’offesa subita, nonché della sua impotenza, del suo dolore, al fine di colpevolizzare non solo il colpevole o presunto tale, ma gli altri in generale, e, in modo assurdo, persino coloro che cercano di offrire il loro aiuto. Seppure il vittimista tende a costruire con chi lo aiuta una relazione di complicità, questa è volta a fortificare il vittimismo stesso. Qualora la persona che aiuta tenti di depotenziare la posizione vittimista o si rifiuti di suffragarla sempre e comunque, la relazione di complicità si commuta in conflitto. E’ difficilissimo uscire fuori dal paradosso per cui chi aiuta un vittimista viene impiegato dal vittimista per fortificare il suo vittimismo, e quindi l’idea di non poter essere aiutato da nessuno, ma al fine solo ferito e tradito… e così via.
La persona vittimista non è in grado di riconoscere le proprie responsabilità, e se si cerca di fargliele notare si sente aggredita.
La difesa vittimistica è dunque una difesa dai propri fantasmi persecutori interiori, formatisi nell’inconscio a causa di una relazione disturbata con la madre, e poi con l’ambiente famigliare.
c4efd5020cb49b9d3257ffa0fbccc0ae-272x272La realtà, viene però letta in modo deformato dalla persona vittimista, a causa di antiche e precoci difese – o difese “nella” difesa - che ancora permangono attive. Infatti, il vittimismo è una difesa ad es. per non sentire non solo il dolore ma anche l’impotenza generata da un rifiuto, di cui da bambini sono state fatte oggetto e che esse, inconsciamente, spesso tendono ripetitivamente, a suscitare negli altri, magari con continue lamentele, per poi riattivare le stesse difese con una giustificazione apparentemente valida. Spesso dopo aver suscitato negli altri una reazione negativa, le persone vittimiste, tendono ad accusarli di non essere comprensivi o di essere impazienti o di non fare abbastanza, centrando sempre la loro attenzione su “qualcosa” che dovrebbe cambiare o “qualcuno” al d fuori d loro stesse, che dovrebbe pentirsi. In fondo,, a ben guardare, è anche un po’ come se fossero dei bambini che in “tutti” , accusano i loro genitori per ciò che è accaduto nella loro infanzia. Avendo inoltre difficoltà a distinguere tra le persone e le loro azioni, tendono a fare delle letture improprie sia delle prime che delle seconde e ad arrabbiarsi spesso inutilmente ma dannoso per la loro stessa salute ed in modo quindi, solo autodistruttivo per motivi che solo loro individuano.
IL PROBLEMA PIU’ TRISTE E DISTURBANTE DEL VITTIMISMO PATOLOGICO, DI CARATTERE CRONICO O TRANSITORIO, E’ CHE SI VEDE SOLO IL MALE E LA DIFFICOLTA’ IN OGNI SITUAZIONE DELLA VITA, COSI’ SI DIVENTA NEGATIVI E SI TENDE A TRASMETTERE AGLI ALTRI TALE NEGATIVITA’ E DI CONSEGUENZA A RICEVERLA INDIETRO. E’ FONDAMENTALE SPEZZARE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO, PRENDENDO COSCIENZA DELLA PROPRIA CONDIZIONE INTERIORE OSCURATA DA UN MALESSERE RIMOSSO E INCONSAPEVOLE, AL FINE DI TORNARE AD ESSERE CAPACI DI VEDERE CHE ESISTE SEMPRE ANCHE IL BENE, QUINDI DI POTERLO TRASMETTTERE ED AVERE IL CORAGGIO E LA GIOIA DI VIVERE NELL’ENERGIA DEL BENE, QUALUNQUE COSA ACCADA.
Surreal-Photo-Manipulation-Tutorial-32Il vittimista e il suo consolatore

Il sentimento del vittimismo patologico ha una sua corrispondenza con la figura del ‘martire’, solo che il martirio non viene volta ad una qualche nobile causa, seppure con esaltazione e maniacalità, quanto ad esercitare un proprio potere negativo e punitivo verso gli altri, ritenuti in qualche modo responsabili del proprio malessere, per inettitudine ed anche per vera e proprio malignità. La persona vittimista la causa prima del suo malessere sia in essa stessa, ciò corrisponderebbe alla pazzia, ad una mostruosità persecutoria interna dalla quale non saprebbe come liberarsi. Perciò, la persona vittimista, tende a considerarsi sempre oppressa da qualcosa di insopportabile, si sente ostacolata dagli altri e dalle circostanze e di ciò si lamenta continuamente, ma in tal modo si sente rassicurata dall’idea che le forze ‘cattive’ sono al di fuori di se stessa. In prima istanza la lamentela reiterata serve per ottenere attenzioni dagli altri, ma poi questi stessi altri vengono svalutati perché incapaci di consolare. Spesso gli ‘altri’, dopo aver invano sopportato le lamentele del vittimista patologico, riscontrano di non essere di non poter essere di alcuno aiuto, se non come deposito di tali lamentele delle quali devono condividere passivamente il dolore.
vittimConsigli, gesti di affetto e di solidarietà, vengono considerati dal vittimista con una certa sufficienza, e senpre con una punta di sfiducia. Se il ‘consolatore’ non si scoraggia e quindi si prodiga di consolare la vittima, deve a sua volta dimostrare di essere a sua volta vittima di qualcos’altro, di qualcun altro, altrimenti il vittimista chiede sempre di più e diffida di ogni aiuto e consiglio. Infatti il ‘consolatore’ , che può essere un terapeuta, o una persona amica, o un parente, per poter consolare dovrebbe stare bene, o almeno in una posizione migliore della vittima. Ecco allora che la vittima ‘patologica’, vive questo consolatore con un inconscio senso di invidia, fino al punto di disprezzarlo giacché dal momento che questi sta bene, o solo benino, data la sua capacità di consolare, non sarebbe autentico e sincero, in quanto non condividerebbe il dolore della vittima.
discariche1Sono evidenti dinamiche infantile che la Melanie Kleine attribuisce a sentimenti contraddittori di “Invidia e gratitudine” che nella primissima infanzia possono essere elaborati in modo disfunzionale e patologico verso la madre, primaria figura di accadimento e consolazione. La madre viene vissuta come ‘seno buono’ e ‘seno cattivo’, il primo viene desiderato, ma anche invidiato, il secondo diventa tale anche per il solo fatto che la madre non può essere sempre e costantemente e totalmente disponibile e capace di far fronte a tutte le frustrazioni dell’infante. In pratica se all’infante viene un mal di pancia, la colpevole sarebbe la madre che non è stata capace di impedirlo, quindi essa è cattiva, in quanto ‘seno cattivo. Si tratta di dinamiche che esasperandosi possono diventare deliranti, che il bambino può rimuovere nell’inconscio senza essere veramente riuscito ad elaborare e superare e che quindi ritornano nella vita adulta anche nella forma del ‘vittimismo patologico’ che stiamo esaminando.
VictimIn genere il vittimista patologico assume le vesti di chi non porta rancore e dimentica, in nome dell’affetto che sente verso il suo ‘fallimentare e fallito consolatore’. Inoltre spesso nel consolatore subentrano sensi di colpa per il dispiacere di aver ferito la persona che si voleva consolare. Si instaura quindi una dinamica distorta di sentimenti e interpretazioni che configgono e si contraddico, dove il consolatore viene ad un tempo mantenuto tale, destabilizzato, manipolato, colpevolizzato e perdonato. Ciò è fondamentale in quanto una relazione di collaborazione gratitudine verso il consolatore vorrebbe assurdamente significare di rendersi complici del ‘nemico’ più pericoloso, quello che qualora riuscisse a consolare farebbe crollare la difesa vittimistica, trasformando la vittima in ‘vittima di se stesso’, e quindi portando alla luce un conflitto interno distruttivo, un inferno senza vincitori, né vinti, senza via d’uscita… eppure solo quando il vittimista volgerà lo sguardo al carnefice che ha in se stesso che uscirà dall’inferno ed entrerà nel purgatorio, cioè in una dimensione che, sebbene sofferente può essere sostenuta e quindi consolata verso la guarigione.
av070_lgUn caso risolto di ‘scoliosi vittimistica’ nel Vangelo di Luca
Un ‘disturbo psicosomatico’ riconducibile al vittimismo patologico è la cosiddetta ‘scoliosi isterica’ In buona sostanza a causa di tensioni muscolari di natura psicogena vi possono essere distorsioni della spina dorsale che con il tempo, se non curate, tendono a diventare sempre più evidenti. Può però accadere che il vittimisma patologico consideri, più o meno inconsciamente che, favorire una postura nella quale risulta evidente la sua sofferenza, come quella di camminare a capo chino o, come si dice ‘piegato in due’, metta in evidenza costantemente la sua condizione di vittima, traendone i paradossali vantaggi difensivi e quindi psicopatologici dei quali abbiamo parlato. Perciò a lungo andare il disturbo della spina dorsale che tende a piegarsi in avanti diventa sempre più accentuato e si aggrava effettivamente in modo pietoso, dal momento che non solo non è stato contrastato attraverso terapie specifiche alle quali il vittimista con varie scuse si è sempre sottratto, ma anche perché la posizione scorretta è stata accentuata fino a farla diventare una abitudine, considerata come la forma più plateale per ostentare il proprio vittimismo patologico.
E’ alquanto toccante riflettere su un caso di ‘scoliosi vittimistica’ riportato nel Vangelo di Luca, il quale nel narra l’episodio della “Guarigione della donna curva” (Verso 13, 10-17). Avendo presente che ai tempi di Gesù, le donne non avevano diritti, esse erano molto adatte a rappresentare simbolicamente, tutti coloro che erano considerati, per qualche motivo, “gi ultimi”, chiunque vivesse in una condizione di schiavitù non solo fisica ma anche morale. La donna poi, da sempre, viene considerata ricettiva e nelle tradizioni antiche, ciò significava che essa lo era, per sua natura, anche nei confronti del male. Inoltre, dobbiamo considerare che all’epoca, anche gli infermi, erano mal visti, perché essendo sconosciuta l’origine della maggior parte delle malattie, ritenuti come segnati dal demonio. Per questo motivo, né le donne né gli infermi né i deformi, potevano entrare nelle Sinagoghe. Luca narra che un sabato durante il suo viaggio, Gesù stava predicando in una Sinagoga e qui, avvenne un fatto insolito. Infatti, una donna che Luca descrive come “curva in sé” e che “non poteva alzarsi in nessun modo”, da 18 anni, stava ad ascoltarlo. Gesù la vide e la chiamò a sé , quindi le disse : “ Donna, alzati, sei libera dalla tua infermità” e le impose le mani. “Subito quella si alzò” e glorificò Dio.( Luca 13, 10/13)
VictimismQuesta guarigione è compiuta da Gesù su una donna ammalata ed all’interno di una Sinagoga, per di più nel giorno di sabato, dedicato tradizionalmente, al riposo. Quindi, ha molteplici significati sia teologici che psicologici, che sono quelli che principalmente, cercheremo di evidenziare. La doppia connotazione di donna ed ammalata, è molto importante in questo racconto. Quella donna essendo priva di diritti ed incurvata dall’artrosi, forse da una scoliosi molto grave che costringendola a camminare ormai da lungo tempo, a “testa bassa”, le impediva anche di alzare lo sguardo, facendone quindi, una donna sottomessa al male ed alla presunta superiorità dello stesso sulle sue forze ed anche agli altri, che lei non poteva più guardare direttamente né interagire con gli essi alla pari; inoltre, il male da cui era afflitta, le impediva di poter guardare il cielo e pregare così direttamente Dio. Essa, era cioè costretta a guardare sempre in terra, vittima di quel male che per 18 anni, l’aveva “tenuta legata a sé “, facendola vivere in una condizione di sminuita umanità e, non chiedeva niente per sé, tanto che fu Gesù a vederla e a chiamarla a sé per liberarla. Ma per comprendere meglio ciò e connetterlo con il resto del nostro discorso sul vittimismo, proviamo a proseguire nel racconto che ci fa Luca, in modo molto vivido, di quell’episodio.
Relax con amore - introduzione alle tecniche di rialassamento con musica e video
Relax con amore – introduzione alle tecniche di rialassamento con musica e video
39-Ispirazione-04-05DOBBIAMO IMPARARE A RALLEGRARCI DI PIU’, A RIDIPINGERE LA VITA DI NUOVI COLORI, E IMPARARE A LAMENTARCI DI MENO; COSI’ FACENDO LE COSE ANDRANNO CERTAMENTE MOLTO MEGLIO PER TUTTI. NON SI TRATTA DI SEMPLICISTICO OTTIMISMO, MA DI LIBERARSI DAL MALE DEL QUALE E’ POSSIBILE LIBERARSI DI SICURO: QUELLO CHE DIPENDE DA NOI STESSI.







da Il vittimismo patologico: una riflessione per guarire per i familiari, per i terapeuti e per tutti coloro che vogliono aiutare le "vittime di sé stessi" di Pier Pietro Brunelli e Elisabetta Lazzar.

mercoledì 22 aprile 2015

Apri i Tuoi Chakra con la Meditazione.


Le tecniche di meditazione per riportare l’equilibrio dei Chakra sono varie e numerose, e ognuno di noi è libero di scegliere la modalità che sente più adatta a sé, a seconda dei propri personali obiettivi, esperienze o a seconda delle circostanze in cui si trova.

La meditazione è una delle tecniche più utilizzate per riequilibrare i Chakra perché oltre ad essere efficace, è anche una modalitàsemplice e accessibile a tutti, puoi infatti ricorrere ad essa praticamente ovunque e in qualsiasi momento tu voglia.

Sarà sufficiente trovarsi in un luogo dove puoi eseguire i mudra (particolari posizioni delle mani) e ricorrere all’uso della voce per suoni e canti specifici e potrai riequilibrare i tuoi Chakra con la meditazione.

Esistono anche altre tecniche che prevedono l’uso di pietre e cristalli, o meditazioni più complesse finalizzate al risveglio della Kundalini ( l’energia sacra che risiede alla base della colonna vertebrale tradizionalmente rappresentata da un serpente addormentato, avvolto intorno alla base della spina dorsale in tre giri e mezzo), ma in entrambi i casi è importante rivolgersi a delle persone esperte, come un maestro di Reiki o un istruttore di yoga.

Aprire i Chakra

In questo articolo vedremo più da vicino le tecniche base di meditazione specifiche per ogni Chakra.

Se sai già quale dei tuoi Chakra è più debole e hai familiarità con le tecniche di apertura dei Chakra, puoi direttamente concentrarti sul Chakra interessato, ma in un primo momento, ti consiglio di lavorare sui tuoi Chakra in maniera globale e progressiva, per poi concentrarti in un secondo momento, sul singolo Chakra.

Okay, iniziamo!

Per prima cosa individua un luogo tranquillo e riparato dove puoi praticare le meditazioni senza essere disturbato.

Se ne senti la necessità, procurati una sveglia, di modo da tenere traccia del tempo senza bisogno di guardare continuamente l’orologio, ed evitare quindi di distrarti.

Siediti con le gambe incrociate facendo attenzione a mantenere la schiena eretta e appoggiare le mani sulle ginocchia.

Se non lo hai già fatto assicurati di avere sotto di te una coperta o il tuo cuscino da meditazione.

Ognuna delle seguenti meditazioni deve avere una durata di almeno 7 o 10 lunghi respiri.

Chakra della Radice

Con le mani appoggiate sulle ginocchia, unisci il pollice e l’indice di entrambe le mani, mantenendo il palmo della mano verso l’alto e lasciando libere le restanti tre dita.

Porta la tua attenzione sul Chakra della radice, alla base della spina dorsale, esattamente tra i genitali e l’ano.

Con la voce emetti il suono “LAM“.

Chakra Sacrale

Per passare al secondo Chakra, il Chakra Sacrale, appoggia le mani nel grembo con i palmi rivolti verso l’alto, la mano destra sopra la sinistra, e fai in modo che le punte dei pollici si tocchino leggermente.

Concentra tutta la tua attenzione sul Chakra sacrale, che si trova nella parte bassa della schiena, esattamente all’altezza dell’inguine.

Con la voce emetti il suono “VAM“.

Chakra del Plesso Solare

Porta ora le mani le mani all’altezza dell’ombelico, leggermente sotto al plesso solare, e mantienile nella stessa posizione del Chakra precedente, con i palmi rivolti verso l’alto, la mano destra sopra la sinistra, e le punte dei pollici che si toccano leggermente.

L’attenzione ora è completamente rivolta al terzo Chakra, che si trova esattamente all’altezza del plesso Solare, al di sopra dell’ombelico.

Con la voce emetti il suono “RAM“.

Chakra del Cuore

Unisci ora delicatamente il pollice e l’indice di entrambe le mani, appoggiando la mano sinistra sul ginocchio sinistro e posizionando la mano destra, al centro del petto all’altezza del cuore.

Concentrati sul Chakra del Cuore, esattamente all’altezza del tuo cuore, ed emetti il “YAM“.

Chakra della Gola

Una volta aperto il Chakra del Cuore, puoi passare al Chakra della Gola; intreccia quindi le dita delle mani e unisci i due pollici, tenendoli rivolti verso l’altro.

Focalizza tutta la tua attenzione sul Chakra della Gola, nel punto alla base della gola, ed emetti il suono “HAM“.

Chakra del terzo Occhio

Per aprire il Chakra del Terzo Occhio con la meditazione, porta le mani all’altezza del petto, le dita medie sono distese, rivolte verso l’alto e si toccano, così come i pollici, che però sono rivolti verso il petto. Le altre dita sono piagate e fanno combaciare le seconde falangi delle due mani.

Concentrati sul Chakra del Terzo Occhio, che si trova al centro della fronte, tra le due sopracciglia.

Emetti con la voce il suono “OM“.

Chakra della Corona

Infine, per la meditazione del Chakra della Corona, posiziona le mani all’altezza dello stomaco, contrapponi i due anulari e distendili verso l’alto, intreccia le altre dita, con il pollice destro sotto quello sinistro.

Concentra l’ attenzione sul Chakra della Corona, che è situato nella parte superiore della testa, ed emetti con la voce il suono “NG”.

Prima di procedere con la meditazione relativa al chakra della Corona assicurati di aver eseguito prima la meditazione del Chakra della Radice.

E i tuoi Chakra? Pensi possano essere chiusi o malfunzionanti ?

venerdì 17 aprile 2015

Incoscio e caratteri.

Ecco come il tuo inconscio sceglie al posto tuo: gli 8 eroi

15 APRILE 2015 Di FRANCESCO CRACOLICI 

I cani (si, io e Stefano siamo fissati con i cani) sono la versione addomesticata dei lupi.

Non proprio tutti, ma in linea di massima le razze canine hanno come antenato il lupo.

Nella preistoria poteva capitare che alcuni lupi con un’indole molto docile si avvicinassero agli uomini per mangiare i loro avanzi.  Se questi lupetti erano così tanto buoni da farsi “addomesticare” dagli uomini, diventavano parte della tribù e fedeli aiutanti. E con il passare delle ere si sarebbero trasformati nei nostri cani.

Non tutti i lupi però si facevano addomesticare, alcuni erano troppo aggressivi e “dominanti” per stare alle regole degli uomini e preferivano morderli. Fin qui niente di nuova, ma continua a leggere per il colpo di scena...

Infatti  i lupi, come tutti gli animali che vivono in branchi, hanno un problema:

Se ci sono troppi lupi mansueti allora il branco è inefficenteSe ci sono troppi lupi aggressivi finisce che si litiga in continuazione.

Per questo motivo madre natura, o la selezione naturale, ha fatto in modo che, durante il primo anno e mezzo di vita, ogni lupo avesse sempre solo una di queste due attitudini.

I lupi con una pulsione naturale per il comando, quindi aggressivi e diffidenti.I lupi a cui sta bene l’essere comandati, quindi più mansueti e amichevoli.

La stessa identica cosa avviene negli umani: nel corso della nostra vita sviluppiamo un’indole precisa, per ricoprire un ruolo ideale nella vecchia tribù degli uomini.

In pratica funziona così: ognuno di noi ha in testa un eroe e per tutta la nostra vita il nostro unico obiettivo, in ogni nostra scelta, è quello di assomigliare il più possibile a lui.

A livello inconscio, ogni volta che dobbiamo compiere una scelta ci chiediamo: questo mi aiuterà a diventare il mio eroe?

Ci sono in totale otto tipi di eroi, e ognuno di noi si identifica con uno di questi.

Proprio come i lupi, per garantire che i “branchi di umani” fossero equilibrati, con il giusto numero di leader e il giusto numero di seguaci, la natura ha fatto in modo che ognuno di noi avesse il bisogno di ricoprire uno di questi otto ruoli.

“Il mondo è bello perché c’è un solo Dalì, un solo Picasso ed un solo Einstein. Se ci fossero 300 Dalì, Picasso, e Einstein il mondo sarebbe un inferno”
– Salvador Dalì


E no, non è una teoria ignota o che ho inventato io, è una delle basi della cultura contemporanea. Questa teoria la insegnano:

A tutti gli sceneggiatori di serie tv, fumetti e film. Se non ne sei al corrente difficilmente verrai assuntoIn molte tra le scuole di vendita più famose del mondo Nelle più grandi agenzie pubblicitarie degli Usa.

E’ molto probabile che leggendo ti riconoscerai in almeno uno degli otto eroi. E no, non c’è ne uno migliore di altri, e nemmeno uno più scarso, si tratta di pulsioni diverse che sono scritte nel nostro DNA.

1 – I 4 membri Alfa

I primi 4 eroi che ti sto per fare vedere hanno una naturale propensione al comando. Le persone con questo tipo di “archetipo” in testa non hanno problemi a farsi valere, o a mettersi in mostra, anche a costo di litigare. Si concentrano sempre sul loro obiettivi e sopratutto raramente parlano di quanto hanno “faticato”. Solo il 25% circa delle persone ha in testa uno di questi eroi.

In ogni serie TV di successo, dagli anni 70 in poi (anche italiana) se ci sono 4 protagonisti ognuno di loro rappresenta un Eroe.

Anche A team

 

2 – I 4 membri Beta

A differenza dei primi questi non hanno ambizione di comando, o di superare chi gli sta attorno, preferiscono stare più tranquilli.  Proprio come i lupi più docili stanno bene con tutti, non litigano quasi mai, anche se hanno qualche problemino in più  nel fare scelte. Gli Alfa si concentrano sul risultato, i Beta sul processo. Per fare un esempio, se chiedi a qualcuno “come va all’università?”

Un Beta si concentra sul processo, quindi ti dirà “studio tanto”Un Alfa si concentra sul risultato quindi ti dirà ” Ho dato 3 esami”

Ti ripeto che non c’è nulla di male nell’essere Alfa o Beta, vediamoli nel dettaglio

Alfa 1: Il comandante

Alcuni di noi hanno una pulsione naturale per cercare di essere sempre i migliori. L’obiettivo di chi ha un eroe “comandante” è quello di essere il migliore, di avere prestigio, di farsi valere sempre e spessonon accettano di avere torto.

La paura di queste persone è quella di essere inferiore agli altri, di essere superato e battuto, e nella preistoria queste persone erano i capi-tribù.

ALFA 2: La Lady Gaga

La neo-regina del pop una volta ha indossato un vestito fatto di carne, praticamente è unica. Le persone di questa categoria hanno sempre accanto un eroe che impone di essere unici.

Non temono le novità, la loro più grande paura è essere comuni, indistinguibili, vogliono essere diversi dagli altri a tutti i costi. Non migliori, ma unici. Nelle nostre antiche tribù queste persone erano quelle che sperimentavano tutto ciò che potevano, e spesso erano gli “originali” e per via della loro imprevedibilità erano spesso i capi delle varie tribù.

Alfa 3: I 30 e lode

Alcune persone studiano per il piacere di sapere e se il tuo Eroe è un 30 e lode sei uno di questi. Il loro Eroe vuole dimostrare al mondo di essere all’altezza e l’unico modo che ha per farlo è far vedere quante cose sa. Deve far vedere al mondo che la sa lunga.

Gli interessano i dettagli, sa e dimostra di sapere, e ha una sola grande paura: non essere abbastanza preparato; nella tribù questo individuo era uno studioso, oppure un inventore.

Alfa 4: Il signor Scrooge.

In “Xmas Carol” di Dickens il protagonista è il signor Scrooge, ovvero uno ricco ma ancor più tirchio. Se il tuo eroe è Scrooge vuol dire che non hai problemi a fare sacrifici per una causa superiore, e il tuo fine principale è risparmiare in vista di qualcosa di più importante.

Questi erano i guerrieri della tribù, quelli che, pur di difendere il proprio popolo, passavano notti insonni e pasti a base di vermi. Oppure organizzavano le risorse dell’accampamento.

Beta 1: L’orso abbraccia tutti

Passando a coloro che non hanno più l’istinto del comando, il primo è l’orso abbraccia tutti. L’obiettivo di questa persona è fare tutto in funzione delle persone che ama e vuole bene. Se compie una scelta vuole che questa vada a vantaggio di chi gli sta vicino. Praticamente il partner perfetto. 

Beta 2: L’insicuro

La maggior parte delle persone ha questo Eroe impresso in testa, e la sua più grande paura è sbagliare, è essere insicuro. Così compiono una scelta solo se sono sicuri al 500% che non sia un flop. Se non riconosci l’eroe di qualcuno è molto probabile che sia un insicuro.

Beta 3: Quello della sveglia alle 13

Lo stimolo di questa persona è quello di esser comodo e tranquillo. Nessuno problema, nessuna preoccupazione e nessuna bega: questo è il suo ideale.

Hakuna Matata, insomma.

Vuole diminuire al minimo i suoi problemi e ha paura delle cose troppo complesse da fare.

Beta 4: Il risparmiatore

Questo tipo di persona è legata al risparmio. Non si tratta di qualcuno che vuole tanti soldi, ma di uno che fa di tutto pur di non perdere i suoi. Ha una sola paura: perdere le sue risorse.

Conclusione

Ok abbiamo finito, ci tengo a dirti che, anche se molte persone hanno due o più eroi, c’è sempre uno preponderante.

La prossima volta che incontri qualcuno,allenati a capire subito se si tratta:

Di un Alfa che ha una tendenza ad essere leaderDi un Beta a cui non importa di essere leaderSe non ha assolutamente alcun problema nel fare sacrifici per una causa più grande è uno ScroogeSe noti che ha qualcosa di molto originale che lo distingue è un Lady GagaSe vuole emergere attraverso la sua conoscenza è un 30 e lodeSe il suo obiettivo è essere il più figo stai certo che è un ComandanteSe fa tutto in funzione dei suoi cariSPOSALOL’eroe della maggior parte delle persone è uno che desidera solo la sicurezzaSe odia le cose complicate è un comodistaSe è disposto a tutto pur di risparmiare qualche soldo è un risparmiatore

Ogni volta che capisco l’eroe di chi mi sta di fronte, mi basta allinearmi a come ragiona per subito entro nelle sue grazie.

Divento meritevole di fiducia, affascinante e sopratutto la gente mi segue.

Per questo ti propongo una sfida: per la prossima settimana allenati a riconoscere gli Eroi di almeno 10 persone, e in ben che non si dica sarai il più simpatico che abbiano mai visto.

E tu in quale profilo ti riconosci? Fammelo sapere qui sotto nei commenti! 

domenica 12 aprile 2015

Come meditare: la mia esperienza pratica.

Consigli pratici su come meditare e trarre benefici da questa pratica millenaria.

“Giocare a Tetris per 15 minuti è la miglior pratica meditativa che conosca.”

Ezra Koenig.


Ho tenuto a lungo questo post tra le bozze. Mi sono spesso chiesto: “chi sono io per dare lezioni sul come meditare?“, “ci sono troppi pregiudizi sulla meditazione, molti lettori storceranno il naso“, “come faccio a rendere pratico un argomento così complesso?“. Insomma: stavo procrastinando.

Alcuni commenti sulla pratica meditativa all’articolo sull’Archetipo del Guerriero, mi hanno fatto capire che era arrivato il momento di affrontare questo argomento essenziale per il nostro percorso di Crescita Personale. In questo articolo ho cercato di sintetizzare l’esperienza che ho maturato negli ultimi 5 anni sulla meditazione, in particolar modo:cos’è la meditazione, perché dovresti iniziare una pratica meditativa ed alcuni consigli molto pratici su come iniziare a meditare.

Cos’è la meditazione

Ammetto di aver avuto molti pregiudizi sulla meditazione prima di iniziare a praticarla con costanza. Consideravo la meditazione una di quelle mode passeggere, robaccia new-age, senza alcun risvolto pratico. Non potevo avere più torto.

Indubbiamente la meditazione è una pratica millenaria legata a religioni come Buddhismo o Induismo, ma la verità è che le pratiche meditative possono essere ritrovate negli ambiti più disparati, dalle religioni occidentali (la preghiera è meditazione), all’arte, fino alle più recenti applicazioni nella lotta allo stress. La meditazione ha una sua storia, ma non per questo deve avere un’etichetta. Da questo punto di vista, apprezzo la definizione di Wikipedia.

La meditazione è, in generale, la pratica di concentrazione della mente su uno o più oggetti, immagini, pensieri (o talvolta su nessun oggetto) a scopo religioso, spirituale, filosofico o semplicemente dimiglioramento delle proprie condizioni psicofisiche.

Fonte: Wikipedia.


Ora che ci siamo liberati da alcuni dei più annosi pregiudizi sulla meditazione, probabilmente ti starai chiedendo: “ma perchédiamine dovrei perdere tempo con la meditazione?! Ho una vita molto impegnata IO, non sto mica qui a pettinare le bambole!

Perché dovresti meditare

Meditare con in mente un obiettivo è di per sé errato. Se proiettiamo la nostra mente in un futuro prossimo, riempiendola di aspettative di fatto NON stiamo meditando. La meditazione deve infatti aiutarci a riportare la nostra mente e la nostra attenzione nelmomento e nel luogo presente, ovvero deve aiutarci a raggiungere quella che ho definito la Quiedora.

Detto questo, è innegabile che la meditazione abbia molteplici benefici a brevemedio elungo termine, dimostrati da numerosi studi scientifici. Di seguito ti ho riportato i 3 principali benefici che potrai trarre da un pratica meditativa costante:

Maggiore concentrazione. Molti considerano il tempo la risorsa più preziosa; in verità il tempo è la risorsa più democratica che esista: ne abbiamo tutti a disposizione 86.400 secondi al giorno. La vera risorsa scarsa oggi è laconcentrazione. La mente umana tende ad essere facilmente distratta. Data una specifica attività, la nostra attenzione si dimezza dopo 15-20 minuti, per annullarsi del tutto dopo circa 40-45 minuti. Questo fenomeno prende il nome di “decremento di vigilanza” ed è il motivo per cui una sessione di studio non dovrebbe mai durare più di 45 minuti. Da uno studio condotto da K.A. MacLean dell’Università della California, è emerso come la pratica meditativa sia in grado di contrastare il fenomeno del “decremento di vigilanza“. La meditazione, infatti, abitua la nostra mente a mantenere la concentrazione per periodi prolungati. Tali principi sono alla base di tecniche di concentrazione, come ad esempio la Tecnica del Mandarino.Rafforzamento del sistema immunitario. La meditazione è in grado di ridurre i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, presenti nel nostro organismo: ne conseguon effetti benefici sul nostro sistema immunitario. Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato come la meditazione abbia un impatto ben più esteso. Molto interessante è ad esempio il notevole incremento di anticorpi nei partecipanti del programma Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR). Insomma meditare può avere impatti concreti sulla tua salute.Miglioramento della memoria. La meditazione è in grado di modificare letteralmente il nostro cervello. Unostudio congiunto condotto dai ricercatori di Yale ed Harvard ha dimostrato come la meditazione sia associata ad un incremento della materia grigia in quelle regioni del nostro cervello collegate all’apprendimento e alla memoria. Meditare ti rende più intelligente. Non a caso ho riportato all’interno della guidaStudia meno, Studia meglio alcune tecniche di respirazione, basate sui principi della meditazione, in grado di rafforzare la tua mente e riportarla allo stato ottimale per lo studio.

Spero di non averti annoiato con i riferimenti ai diversi studi scientifici, ma è di fondamentale importanza che tu ti convinca della concretezza e dell’efficacia di questa pratica, spazzando via qualsiasi pregiudizio. Adesso però, è arrivato il momento di metterci in azione e scoprire: come meditare nella pratica.

Come meditare

Esistono decine di differenti forme di meditazione ed altrettante tradizioni meditative. In questo post ho deciso di riportarti la pratica meditativa che personalmente ritengo più semplice edefficace, nonché scevra (‘mazza come parlo raffinato oggi) di etichette di alcun genere: lameditazione mindfulness. Ecco alcuni consigli pratici per la tua prima sessione di meditazione:

Siediti comodamente, ricordandoti però di tenere la schiena ben eretta. Puoi sederti su una qualsiasi sedia o se preferisci puoi sederti a terra, assumendo la classica posizione del loto (con le gambe incrociate, come in fotografia). Inizialmente ti consiglio di assumere la posizione del semi-loto, in cui un solo piede è appoggiato alla coscia opposta, mentre il secondo si trova sotto l’altra coscia. Personalmente ho notato dei benefici utilizzando un cuscino da meditazione.Trova la postura corretta. La postura influenza profondamente la qualità della pratica meditativa. Per trovare il giusto assetto prova a dondolarti a destra e sinistra, avanti ed indietro, finché non trovi il tuo punto di equilibrio. L’addome deve essere leggermente sporgente, la testa deve spingere verso l’alto, con il mento rientrato ed il naso in linea con lo stomaco. Nel corso della meditazione la bocca deve rimanere chiusa, con la lingua appoggiata al palato. Inizialmente questa posizione può apparire molto artificiosa, ma con la pratica diviene estremamente naturale.Raccogli le mani in posizione zazen. Durante la meditazione le mani sono raccolte ed appoggiate sui piedi, la sinistra sotto la destra, con i pollici che formano una linea orizzontale ed i mignoli che sfiorano l’addome (vedi foto).Socchiudi gli occhi. Gli occhi non devono essere né aperti, per evitare le distrazioni, né chiusi, per evitare di… addormentarsi! Tienili leggermente socchiusi e rivolti verso un punto del terreno a circa un metro di distanza.Concentrati sul respiro. Ora che hai trovato la posizione corretta, concentra la tua attenzione sul respiro. Non forzarlo, limitati ad osservarlo. Senti l’aria che entra nei tuoi polmoni e poi lentamente esce. Ben presto ti accorgerai come mantenere la concentrazione su una cosa così semplice e naturale come il respiro non sia affatto… semplice. La tua mente inizierà a vagare, magari ricordandoti gli impegni della giornata. Non preoccuparti, è naturale. Senza forzature, riporta la tua attenzione al respiro, limitandoti ad osservare dall’esterno i tuoi pensieri.Utilizza un mantra. Per aumentare la tua concentrazione sul respiro, puoi utilizzare un mantra. Un mantra è una breve frase, che ripetiamo più e più volte. Sincronizza il mantra al tuo respiro. Tra i mantra più utilizzati nel corso della meditazione vi è il classico “Ham-Sa“. Questo è un mantra naturale, in quanto riproduce il suono del nostro respiro, dove “ham” viene ripetuto mentalmente durante l’inspirazione e “sa” durante l’espirazione. Un altro mantra molto diffuso è il “So-Hum” (la cui pronuncia è: “So-Am”), che in sanscrito significa “Io sono questo”, dove questo è l’intero universo. Anche in questo caso il mantra va sincronizzato con il respiro: il “So” è pronunciato mentalmente durante l’inspirazione e l'”Hum” durante l’espirazione. Se poi sei uningegnere puoi utilizzare come mantra i numeri! A parte gli scherzi, un’altra tecnica per mantenere la concentrazione sul respiro è proprio quella di contare fino a 10 (dove i numeri dispari sono le ispirazioni ed i pari le espirazioni) e poi ricominciare da capo.Trova la tua durata ideale. Parliamoci chiaro, qui nessuno è un monaco zen che può dedicare alla meditazione intere giornate, eppure è opportuno dedicare a questa pratica un tempo sufficiente. L’ideale sarebbero due sessioni di meditazione (una al mattino ed una alla sera) di 15-20 minuti ciascuna. Ma è giusto che ognuno trovi la sua durata ideale, per farlo esiste un piccolo trucchetto: nel corso della meditazione avrai la tentazione di smettere ed alzarti. Invece di cedere al primo impulso, limitati ad osservarlo per 3 volte, riportando l’attenzione al tuo respiro. Alla terza volta, concludi pure la tua meditazione, ritornando lentamente ai tuoi impegni.

That’s it! Ti aspettavi qualcosa di mistico, profondo o segreto?! Mi spiace averti deluso, ma la meditazione è quanto di più naturale possa esistere. Non solo, quella cha abbiamo visto è la meditazione “formale“. In realtà, puoi entrare in uno stato meditativo in qualsiasi situazione ed in qualsiasi contesto, riportando la tua attenzione sul respiro ed osservando in maniera distaccata pensieri ed eventi esterni. Oltre ai benefici citati, ti accorgerai nel tempo come la meditazione riservi per te altri preziosi tesori.

Mi auguro che questo articolo ti abbia incuriosito quanto basta per iniziare la tua pratica meditativa questa settimana stessa. Prova e poi lasciami un commento. Buona giornata. Andrea.

Ps. Con soli 5 anni di meditazione alle spalle non mi ritengo affatto un esperto, ed in questo articolo ho cercato di condividere semplicemente i miei studi e la mia esperienza personale. Se questo argomento ti ha affascinato ed intendi approfondirlo, ti ho linkato di seguito alcune risorse che ho utilizzato per avvicinarmi a questa pratica:

Il Manuale di Meditazione di Claudio Lamparelli.L’app Headspace per iOS e Android.

Mi auguro ti siano utili. A presto.

Foto tratte da Google Immagini.

Come vivere con più leggerezza.

Imparare a prendersi meno sul serio non è superficialità, ma un'arte che permette di investire sulla qualità della vita

Per alcuni è facile, per altri può essere un percorso da imparare con fatica nel corso della vita: la verità è la leggerezza dell'anima e la nostra voglia di affrontare le cose con un sorriso sono messe a dura prova dagli impegni e i ritmi stressanti delle nostre giornate. Imparare a prendere il mondo meno sul serio non è impossibile. Innanzitutto esercitati a vivere con più elasticità verso ciò che fai.

1) Secondo un’indagine statunitense, le persone utilizzano in media il 20% di ciò che possiedono: l'80% è l'ingombro di oggetti che tendiamo a non usare, ma di cui non riusciamo a fare a meno. Prenditi un week end per trasformare casa: vecchi cassetti, bauli, ripostigli strabordanti ti permetteranno un viaggio nel passato da cui riemergere un po' più leggeri. Consigliati due sacchi, in cui riporre, rispettivamente, le cose da buttare e quelle che possono servire agli amici.

2) L'armadio merita un discorso a parte, perché i vestiti non rappresentano semplicemente ciò che serve a ognuno di noi per uscire o andare al lavoro: al look appartengono capitoli di vita in cui viene a galla una faccia di noi completamente diversa da un anno all'altro. Sbircia nel guardaroba e chiediti: cosa non fa più parte di me? L'immagine che abbiamo di noi stessi cambia costantemente. Prova gli abiti che non indossi da tempo, elimina quello che non va più bene o ciò che, semplicemente, non ti fa sentire bene nella tua pelle. Puoi preparare un sacco con i vestiti che potrebbero piacere a familiari e amici. Scegli chi vuoi essere nel presente e lascia andare il passato.

3) Prova a pensare al modo in cui sviluppi le relazioni nella tua vita, ti dirà molto del modo in cui sei capace, o incapace, di creare relazioni basate su libertà, leggerezza, entusiasmo. Ci sono amici a cui siamo molto legati, che, tuttavia, finiscono con il riversare su noi continue frustrazioni, problemi, rabbia, magari con telefonate o chiacchierate interminabili: inizia a sottrarti, con gentilezza e, se all'inizio vuoi usare una certa diplomazia, una scusa. Sia l'amore, sia l'amicizia sono costruttivi quando ti permettono di respirare, sentirti libero di seguire le tue inclinazioni e desideri, esprimerti senza difficoltà.

4) Il tentativo di controllare costantemente tuttoavvelena il lato più vitale e imprevedibile dell'esistenza. Non è possibile prevedere la vita. Viviamo in una società costantemente in corsa verso obiettivi e traguardi: impara a comunicare con i tuoi desideri, poniti pochi ma sostanziali mete, che ti permettano di aver presente quali sono i valori in cui credi e ciò di cui hai bisogno per sentirti bene. Nello stesso tempo, allenati a vivere anche il lato sorprendente delle giornate e prova a prendere gli imprevisti come un dono, invece che qualcosa contro cui arrabbiarti.

5) Molta della nostra frustrazione arriva dai giudizi continui con cui mortifichiamo noi stessi e gli altri. Prova a pensarla così: nello stesso modo in cui tu fai delle scelte secondo ciò che ti detta il cuore o in linea con il tuo modo di ragionare, gli altri, allo stesso modo, sono guidati dalle loro esperienze di vita, spesso radicalmente differenti dalle tue. Nel corso della giornata, prova a rimanere attento ai momenti in cui dai giudizi: ti accorgerai quanto siano numerosi, costantemente. Se solo sapessimo di più della vita altrui, sarebbero decisamente meno i giudizi che ne diamo.

6) Qualcuno ti ha fatto arrabbiare o riesce sempre a innervosirti? Smetti di giustificarti e nello stesso modo smetti di convincere gli altri. Lo facciamo di continuo, eppure interrompere questo meccanismo è rivoluzionario. Spiega la motivazione delle tue azioni, nel momento in cui ti viene richiesto, ma non prendere a cuore il tentativo sotterraneo di cercare di convincere qualcuno a ragionare o agire in modo diverso. Cercare di far diventare gli altri uguali a noi stessi è una delle più grosse fonti di infelicità e frustrazione.

7) Allenati a creare momenti di piacere e bellezzaall'interno della tua vita. Non servono grandi disponibilità economiche o una vacanza ai Tropici: si tratta di rendere ogni giorno più interessante e viva la tua esistenza grazie a ciò che ami. Cinema, una cena cucinando con gli amici, la domenica al parco o una pausa pranzo da trasformare in picnic, sono moltissime le piccole sorprese con cui rallegrare te stesso e chi ti circonda.

8) Giusto o sbagliato, positivo o negativo sono solo opinioni sulle conseguenze che certi eventi hanno nella nostra vita. Le cose accadono: possiamo cercare di ragionare, interpretare o scovare mille motivazioni tali da giustificarne l'esistenza, ma in realtà non sappiamo il perché di certi avvenimenti. Guardare i fatti dandone un giudizio solo in relazione di ciò che essi comportano per la nostra vita non ti aiuterà a affrontare meglio le cose. Più ti eserciterai a osservare le cose prendendole da una certa distanza, più i tuoi giudizi sul mondo e sulle persone progressivamente tenderanno a sgretolarsi.

9) Evita di rendere problemi e difficoltà più grandi di ciò che siano. Impara a rimpicciolire l'importanza delle situazioni negative e a trasformarle in una risorsa con cui attuare dei cambiamenti alla giornata o alla tua vita. Essere vivi significa continuare a esercitare il nostro dinamismo e la nostra capacità di adattarci al flusso dell'esistenza.

10) Quali sono le zavorre emotive di cui sei vittima? Storie d'amore finite male, rapporti di lavoro burrascosi, relazioni nella famiglia che creano dolore: concediti una serata libera in cui sdraiarti in un posto comodo di casa e ripensare a tutte le persone che hanno fatto, o che ancora sono parte della tua vita. Di ognuno pensa a ciò che ti trasmette, chi riesce a darti il buon umore anche in una giornata no e i rapporti che avvelenano, consciamente o no, la vita. Non esiste un modo definitivo per superare gli eventi che hanno creato dolore nella nostra vita, ma iniziare a vederli con lucidità ti aiuterà a lasciarli andare. Non è possibile cambiare il passato, ma puoi iniziare a scegliere il tuo presente. Da adesso.

giovedì 9 aprile 2015

I 15 segni che stai con un brav'uomo.

MAN WOMAN IN LOVE

Quando si parla di appuntamenti e di rapporti romantici, mi ritrovo spesso a chiedermi come alcune persone possano finire in compagnia di certe altre. A chiedermi perché queste non si limitino ad andarsene, nel momento in cui non vengono trattate come meritano, e a sperare fra me e me che poi siano davvero in grado di apprezzare un compagno che sappia fare gioco di squadra, quando invece succede che vengano trattate esattamente come meritano.
Credo che di questi tempi, a confondere le idee, buona parte del problema stia nel fatto che in pochi hanno in mente un concetto ben nitido di come un rapporto sentimentale sano debba funzionare, oppure di come un "brav'uomo" -- o una brava donna -- debbano comportarsi col proprio partner. Per provare a fare un po' di chiarezza ho assemblato una lista dei comportamenti che ogni brav'uomo dovrebbe saper adottare all'interno di un rapporto.
1, Un brav'uomo non ti farà mai dimenticare quanto ti ama.
Ho avuto innumerevoli conversazioni con persone che mi hanno confidato che nel loro rapporto non c'era alcuna affettività. L'uomo della loro vita non le faceva sentire amate, desiderate o apprezzate. E questo è un frammento cruciale del mosaico -- un brav'uomo ti rammenterà sempre di quanto tu sia importante per lui.
Se qualcuno ti ama veramente, lo saprai, te ne accorgerai. In caso contrario, starai sempre lì a domandarti se sia così.
2, Un brav'uomo ti offrirà sempre il suo sostegno.
Indipendentemente dal fatto che tu voglia tornare a scuola dopo vent'anni per ottenere un master, avviare la tua carriera di cantante o restartene a casa per crescere la tua famiglia, un brav'uomo ti offrirà sempre il suo sostegno, e appoggerà le tue aspirazioni nella vita. Non ti scoraggerà mai, né mai ti farà sentire incapace di fare ciò che ti prefiggi. Starà al tuo fianco ad ogni passo, celebrando le tue conquiste, e consolandoti per le sconfitte.
3, Un brav'uomo saprà esserti d'ispirazione.
Questo aspetto va un passo oltre il sostegno, che può esser qualcosa di più passivo. Per ispirare qualcuno bisogna impegnarsi sia nel modo in cui si vive la propria vita che in quello in cui s'incoraggia gli altri a vivere le proprie. L'impeto e l'ambizione di un brav'uomo che insegue le proprie passioni sono contagiose.
4, Un brav'uomo si darà da fare per conquistare la tua fiducia.
Un brav'uomo vorrà che tu ti senta sicura e a tuo agio all'interno del vostro rapporto. La pietra angolare di tutto questo è sentire di potersi fidare di qualcuno, e lui se ne renderà perfettamente conto. Senza la fiducia non ci sono le basi né per l'amore né per il rispetto.
Lui sarà in grado di capire che la fiducia non si regala -- ce la si deve guadagnare, e poi ce la si deve saper conservare.
5, Un brav'uomo ti farà sempre sentire bella.
Capirà che farti sentire bella non significa solo pronunciare le corrispondenti parole in tua presenza. Significherà invece farti davvero sentire bella. Nel modo in cui ti guarda, ti sfiora e ti tratta. Quando t'impegnerai a prenderti cura del tuo aspetto, ne saprà cogliere i dettagli, e starà lì a ricordarti di quanto ancora ti trovi attraente, anche quando non penserai di esserlo.
Un brav'uomo lo capirà, indipendentemente dal fatto che te ne stia in tuta sul divano, o che indossi un abito di gala: quando ami qualcuno per ciò che è, tutto ciò che li riguarda diventa bello.
6, Un brav'uomo ti farà sempre sentire al sicuro.
L'ho sempre detto: sono convinta che uno dei migliori complimenti che una donna possa fare al proprio partner è dirgli che in sua compagnia si sente sicura. Per quanto possa essere attratta da te, per quanto possa trovarti spiritoso, per quanti soldi tu possa avere, se di notte una donna non riesce a dormire serenamente al tuo fianco, il resto non conta.
7, Un brav'uomo si prenderà cura delle piccole cose.
Hai bisogno di passare in farmacia, ma esci tardi dall'ufficio? Ti eri interessata all'apertura di una qualche mostra, e si è dato da fare per portartici? Per quanto secondarie possano sembrare certe cose (jamesmsama.com/2014/08/30/15-small-things-that-are-actually-big-things-to-her/), lui capirà che in realtà sono le più importanti, e contano più di tutto il resto.
8, Un brav'uomo non supererà mai quel confine.
Diverbi e perfino litigi sono fenomeni naturali all'interno di un rapporto, ma non c'è motivo di scendere sul personale, di cominciare a offendere, e mai -- mai -- di diventare violenti. Un brav'uomo saprà restare calmo e concentrarsi sull'argomento sul tavolo.
9, Un brav'uomo cercherà sempre di migliorarsi.
Imparare nuove cose, sviluppare altre abilità, immergersi in un nuovo libro o seguire un documentario: un brav'uomo che aneli costantemente a migliorarsi rappresenterà per te una sfida intellettuale, e terrà sempre accesa la tua concentrazione. Certo, è per se stesso che farà tutto questo, ma il valore aggiunto sarà l'impatto positivo che avrà sul vostro rapporto.
10, Un brav'uomo si renderà conto che i fatti contano ben più delle parole.
Avere la persona giusta nella tua vita farà sì che tu capisca che le persone che fanno promesse da marinaio non meritano il tuo rispetto. È la gente che i propri impegni li mantiene che lo merita, e lui dovrà essere uno di quelli.
11, Un brav'uomo saprà aprirsi a te.
Per alcuni manifestare le emozioni può risultare particolarmente difficile, che siano le proprie paure o i desideri più profondi, ma avere la persona giusta nella propria vita aiuta spesso a spalancare quelle porte. Un brav'uomo, pur nella consapevolezza che esistano alcuni aspetti che devono restare privati, non ti nasconderà le cose, né reprimerà i suoi sentimenti, perché capirà che questo non farebbe altro che produrre ulteriori tensioni e frustrazioni.
12, Un brav'uomo sarà sempre sincero con te.
Ponendo le basi di un rapporto felice e sano, un brav'uomo si renderà conto di come l'onestà sia sempre la politica migliore (jamesmsama.com/2014/09/24/10-lies-men-should-stop-telling-women/).
13, Un brav'uomo farà sempre sì che tu ti senta a tuo agio a dire la verità.
Sentirsi a proprio agio in un rapporto (nel senso migliore della parola, non quel genere di agio che t'impigrisce) nasce dalla libertà d'aprirsi e di esser sinceri col tuo partner -- e la libertà di farlo deriva dalla consapevolezza che non si verrà mai giudicate. Un brav'uomo t'incoraggerà ad aprirti e a condividere con lui i tuoi sentimenti. Quando condividi qualcosa con lui non dovresti mai aver alcun timore che lui s'imbizzarrisca, o che abbia reazioni eccessive.
Ciò significa sentire la libertà d'essere, in sua compagnia, la versione più genuina e senza censure di te stessa.
14, Un brav'uomo non sarà mai violento.
Forse il punto più importante di tutti. Che sia di natura psicologica, emotiva o fisica, un brav'uomo non contemplerà mai l'idea di comportarsi in alcun modo che sia violento o dannoso nei tuoi confronti. Se ciò dovesse accaderti, ti prego di avere sufficiente coraggio e rispetto di te stessa da parlarne con qualcuno o da andartene immediatamente via. Nessuna brava persona si comporterebbe in questo modo, e la cosa non migliorerà per conto suo.
15, Un brav'uomo starà sempre al tuo fianco.
Quando un uomo dedica il proprio amore e il proprio tempo a qualcuno, non ci sono clausole o requisiti che tengano. Ci saranno dei bei momenti, e momenti non-così-belli. Ci saranno momenti difficili e si verificheranno situazioni imprevedibili. Ma resterà comunque al tuo fianco, e saprà giocare di squadra per superarli.
Ovviamente qui c'è un asterisco. Ciò non significa che tu debba sentirti libera di mancare di rispetto al tuo partner, di mentirgli o d'ingannarlo. Non significa poterne tradire la fiducia e poi pretendere pure che resti con te per il semplice fatto che ha promesso di stare al tuo fianco. Il punto che stiamo affrontando adesso riguarda le difficoltà che affrontate insieme, e l'integrità necessaria a non voltare le spalle e andartene quando le cose si fanno difficili.
Chiunque sarebbe in grado restare con te nei giorni di sole. La vera prova del carattere di un uomo sta nel fatto che poi resti a reggerti l'ombrello nei giorni di pioggia.
Ricorda, se la persona con cui stai s'impegna ad essere questo genere di persona per te, ti prego, fagli sapere quanto l'apprezzi. Perché per quanto gentili si possa essere, non c'è senso di vuoto più profondo che donare il proprio cuore a qualcuno, e sentire che la cosa viene data per scontata.

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